L’ANPI si unisce al cordoglio, allo sdegno, alla protesta e all’impegno per la libertà di tante nazioni europee ed extraeuropee dopo i tragici fatti di Parigi. C’è troppa violenza nel mondo e dobbiamo essere pronti a reagire con forza e tempestività a tutti gli attentati alla vita e alla convivenza civile.



 

A Brindisi manifestazione la sera dell’8 gennaio in piazza Sottile De Falco


 

 

 

Cancellare subito lo scandalo della Bossi-Fini

di STEFANO RODOTÀ

Le terribili tragedie collettive sono ormai diventate grandi rappresentazioni pubbliche, che vedono tra i loro attori i rappresentanti delle istituzioni, ben allenati ormai nel recitare il ruolo di chi deve dare voce ai sentimenti di cordoglio, dire che il dramma non si ripeterà, promettere che “nulla sarà come prima”. Il pellegrinaggio a Lampedusa era ovviamente doveroso, arriverà anche il presidente della Commissione europea Barroso, si è già fatta sentire la voce del primo ministro francese perché sia anche l’Unione europea a discutere la questione. Sembra così che sia stata soddisfatta la richiesta del governo italiano di considerare il tema in questa più larga dimensione, guardando alle coste del nostro paese come alla frontiera sud dell’Unione.

 

Attenzione, però, a non operare una sorta di rimozione, rimettendoci alle istituzioni europee e non considerando primario l’obbligo di mettere ordine in casa nostra. Lunga, e ben nota da tempo, è la lista delle questioni da affrontare, a cominciare dalla condizione dei centri di accoglienza dove troppo spesso ai migranti viene negato il rispetto della dignità, anzi della loro stessa umanità. Ma oggi possiamo ben dire che vi è una priorità assoluta, che deve essere affrontata e che può esserlo senza che si obietti, come accade per i centri di accoglienza, che mancano le risorse necessarie. Questa priorità è la cosiddetta legge Bossi-Fini.

 

La Bossi-Fini è quasi un compendio di inciviltà per le motivazioni profonde che l’hanno generata e per le regole che ne hanno costituito la traduzione concreta. Per questa legge l’emigrazione deve essere considerata come un problema di ordine pubblico, con conseguente ricorso massiccio alle norme penali e agli interventi di polizia. All’origine vi è il rifiuto dell’altro, del diverso, del lontano, che con il solo suo insediarsi nel nostro paese ne mette in pericolo i fondamenti culturali e religiosi. Un attentato perenne, dunque, da contrastare in ogni modo. Inutile insistere sulla radice razzista di questo atteggiamento e sul fatto che, considerando pregiudizialmente il migrante irregolare come il responsabile di un reato, viene così potentemente e pericolosamente rafforzata la propensione al rifiuto. Non dimentichiamo che a Milano si cercò di impedire l’iscrizione alle scuole per l’infanzia dei figli dei migranti irregolari, che si è cercato di escludere tutti questi migranti dall’accesso alle cure mediche, pena la denuncia penale.

 

In questi anni sono stati soltanto i pericolosi giudici, la detestata Corte costituzionale, a cercar di porre parzialmente riparo a questa vergognosa situazione, a reagire a questa perversa “cultura”. Già nel 2001 la Corte costituzionale aveva scritto che vi sono garanzie costituzionali che valgono per tutte le persone, cittadini dello Stato o stranieri, “non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”, sì che “lo straniero presente, anche irregolarmente, nello Stato ha il diritto di fruire di tutte le prestazioni che risultino indifferibili e urgenti”. Un orientamento, questo, ripetutamente confermato negli anni seguenti, motivato riferendosi all’”insopprimibile tutela della persona umana”.

 

Le persone che ci spingono alla commozione, allora, non possono essere soltanto quelle chiuse in una schiera di bare destinata ad allungarsi. Sono i sopravvissuti che, con “atto dovuto” della magistratura”, sono stati denunciati per il reato di immigrazione clandestina. Di essi non possiamo disinteressarci, rinviando tutto ad una auspicata strategia comune europea. I rappresentanti delle istituzioni, presenti a Lampedusa o prodighi di dichiarazioni a distanza, non possono ignorare questo problema, mille volte segnalato e mille volte eluso. Così come non possono ignorare il fatto che lo stesso soccorso “umanitario” ai migranti in pericolo di vita è istituzionalmente ostacolato da una norma che, prevedendo il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, fa sì che il soccorritore possa essere incriminato. A tutto questo si aggiunge la pratica dei respingimenti in mare, anch’essa illegittima e pericolosa per i migranti, sì che non deve sorprendere che proprio in questi giorni il Consiglio d’Europa abbia definito sbagliate e pregiudizievoli le politiche italiane nella materia dell’immigrazione.

 

L’unica seria risposta istituzionale alla tragedia di Lampedusa è l’abrogazione della legge Bossi-Fini, sostituendola con norme rispettose dei diritti delle persone. Contro una misura così ragionevole e urgente si leveranno certamente le obiezioni e i distinguo di chi invoca la necessità di non turbare i fragili equilibri politici, di fare i conti con le varie “sensibilità” all’interno dell’attuale maggioranza. Miserie di una politica che, in tal modo, rivelerebbe una volta di più la sua incapacità di cogliere i grandi temi del nostro tempo. Siano i cittadini attivi, spesso protagonisti vincenti di un’”altra politica”, ad indicare imperiosamente quali siano le vie che, in nome dell’umanità e dei diritti, devono essere seguite.

Non è degna di un paese civile una legge che accusa di clandestinità i sopravvissuti di una tragedia e che accusa di complicità i soccorritori. Cancelliamo lo scandalo della legge Bossi-Fini.

L’ANPI di Brindisi aderisce alla raccolta di firme sull’appello di Rodotà pubblicato su la Repubblica

Sottoscrivo l’appello con assoluta e ferma convinzione che occorre compiere al più presto un atto di giustizia e di umanità contro ogni violazione dei diritti umani e contro ogni forma, diretta e indiretta, esplicita o implicita, di razzismo.Un Paese civile non può tollerare ancora lo scempio e i drammi che avvengono sotto i nostri occhi. Ed è tempo anche di riconoscere lo jus soli perché la parola “accoglienza” acquisti finalmente un significato concreto ed esteso. Lo richiede, più di ogni altra cosa, la nostra coscienza civile“.

Carlo Smuraglia Presidente Nazionale dell’ANPI

Di seguito sono elencate e descritte per sommi capi le diverse tappe dei “Percorsi di Liberazione” del 25 Aprile in città, sono riportati inoltre ed in corrispondenza i testi letti nelle varie tappe
2 -   Luogo principale  di raduno: Corso Roma per la deposizione di una corona dinanzi alla lapide di Vincenzo Gigante,  saluto da parte della presidenza dell’ANPI di Brindisi. Si ONORA la MEMORIA con un elenco di  partigiani e partigiane della provincia di Brindisi che hanno
partecipato alla lotta di Liberazione in varie parti del Paese:
DE TOMMASO Orlando. Nato ad Oria il 16 febbraio1897. Capitano dei carabinieri. Caduto alla Magliana a Roma, il 10 settembre 1943. Medaglia d’oro al valor militare (alla memoria).
GIGANTE Antonio Vincenzo. Nato a Brindisi il 3 febbraio 1901 e residente a Roma. Muratore. Dirigente comunista. Denunciato al Tribunale speciale nel 1934, al termine di una condanna ventennale, per “costituzione del PCI, appartenenza allo stesso e propaganda, viene internato il 3 gennaio 1942. Evaso nel settembre 1943. Viene iscritto alla Rubrica di frontiera. Catturato dai nazisti nel novembre 1944 ed ucciso. Medaglia d’oro della resistenza.
AYROLDI Antonio. Nasce ad Ostuni (BR) il 10 settembre 1906, fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Maggiore dell’Esercito e Medaglia d’argento al valor militare alla memoria.

BARLETTA Giuseppe. Nato a Brindisi l’8 aprile 1925 e morto a Sestri Levante il 18 marzo 1945. Partigiano combattente.
GASCO Giovanni Mario. Nato a Brindisi, nel 1904. Caduto a Cefalonia, 24 settembre 1943 .Già capitano dei complemento dei CC. Della Div. Acqui. Decorato con Medaglia d’Argento.

SPADINI Guido. Nato a Brindisi. Decorato con Medaglia d’Argento.
EFTIMIADI Marco. Nato a Brindisi, il 24 gennaio 1921. Partigiano dal 9 settembre 1943 nella formazione GAP del IX Corpo dell’ELPJ. Viene impiccato come ostaggio, assieme ad altri 50 martiri, a Trieste, in via Ghega, il 23 aprile 1944.
ALTAVILLA Raffaele di Albino e di Maria Giovanna. Nato a Tuturano, nel 1920.  Partigiano nella Div. Garibaldi in Iugoslavia. Medaglia di bronzo alla memoria.
GRAFITTO Giovanni. Nato a Brindisi da Teodoro e Addolorata Alessandrini. Già paracadutista e poi  decorato con Medaglia di Bronzo, per aver combattuto contro i nazifascisti, in Toscana ed Emilia, dal 13 marzo 1944 al 22 aprile 1945.
MASIELLO Vito. Nato a San Vito dei Normanni. Decorato con Medaglia di bronzo, (alla memoria).Combattente i nazifascisti, in zona La Fratta (Bologna) – 19 aprile 1945.
PALUMBO Vincenzo Salvatore. Nato a San Pancrazio Salentino. Decorato con Medaglia di Bronzo.
RUCCO Salvatore. Nato a Brindisi. Decorato con Medaglia di Bronzo.
PARISI Pietro. Nato il 6 luglio 1924 a Cisternino (BR). Contadino. Partigiano, con il nome di battaglia Brindisi, è al fianco della 176 Brg. Garibaldi dal 1° novembre 1943al 7 giugno 1945.
GUADALUPI Mario. Nato a  Brindisi, il 5 gennaio 1924. Partigiano.  – Virgilio – 182 Brg. Garibaldi dal 12 settembre 1944 al 7 giugno 1945. E’ venuto a mancare ieri all’età di 86 anni, dopo una lunga malattia.
DONNE:
CARPINO Anita Teresa. Nato a Brindisi il 9 agosto 1921. Patriota della 113a Brg. Garibaldi, avendo combattuto per mesi 11 e 5 giorni, in Lombardia;
CAVALLO Vittoria in Gaeta. Nato il 20 ottobre 1903 a Latiano (BR) e residente a Torino. Sarta. Comunista. Diffidata. Patriota con il -  nome di battaglia Vera, nella 107b Brg. Garibaldi, in Piemonte,
CIGARINI Giulia, di Eugenio. Nato a Brindisi il 29 novembre 1917. Partigiana nella I Brg. Garibaldi per 19 mesi in Lombardia,
COLUCCI(A) Antonia. Nata a Fasano (BR) il 10 aprile 1924. Partigiana, con il nome di battaglia Marisa, milita nel Comando Generale Matteotti per mesi 16 in Lombardia;
DE CAROLIS Vittoria. Nato a Fasano, il 20 novembre 1912. 9 Brg. Sap dal 19 gennaio 1945 al 7 giugno dello stesso anno.
ESPOSITO Rosetta. Nata il 23 gennaio 1922 a San Pancrazio Salentino. Diploma magistrale. Partigiana. Staffetta informativa dal 10 settembre 1944 al 2 giugno 1945.
GRECO Procacci Addolorata. Nata il 9 febbraio 1920 a Brindisi. Arrestata nel mese di agosto a Venaria (TO), perché sospettata di tenere contatti con i partigiani, viene prima detenuta presso il Comando Nembo di Venaria, poi presso le Carceri Nuove di Torino, poi in quelle di Milano, di Bolzano ed infine deportata in Germania. Arriverà nel lager di Ravensrueck l’11 ottobre 1944. Classificata come politica. Verrà poi liberata.
GUADALUPI Elena, in Paitan. Nata a Brindisi il 1 marzo 1903. Partigiana per 14 mesi nella missione OAT. in Lombardia,
MAGGI Filomena. Nato il 12 maggio 1912, a Fasano. Partigiana. – Maggi – Gruppo Morettini – 6 Divisione GL dal 24 settembre 1943 all’ 9 giugno 1945.
TAMBURINI Addolorata. Nato il 27 luglio 1926, a San Vito dei Normanni.– Alda –7 Divisione GL – Brg. Mazzini, dal 10 novembre 1944 all ‘ 8 maggio 1945. Benemerita.
TODESCHINI Bianca, di Domenico. Nato a Fasano (BR), il 25 settembre 1922. Patriota. Combatte i nazifascisti, per 14 mesi e 25 giorni, dalle file della Brg. X Giornate, nel Bresciano.
TODESCHINI Carla, di Domenico. Nato a Fasano (BR), il 25 settembre 1922. Partigiana. Combatte i nazifascisti, per 14 mesi e 25 giorni, dalle file della Brg. X Giornate, nel Bresciano.
INGLESE Adriana in Paloscia nata a Brindisi telefonista per i partigiani a Genova.
3)    Piazza Cairoli sosta ove fu sede del Comitato provinciale di Liberazione  di Brindisi. Saranno letti stralci  del verbale della prima  seduta  del 9 agosto 1943 e l’appello lanciato ai cittadini ad  alba di libertà e di fratellanza tra i popoli. Sarà ricordato l’avv Palermo,  primo presidente del comitato di Liberazione Nazionale  brindisino ed esponente di spicco di quello stuolo di antifascisti che si opposero  per oltre venti anni al fascismo;  in Via Palestro angolo via Mazzini  (4) breve sosta dinanzi al luogo ove era ubicato lo studio dell’avv. Palermo
FRONTE NAZIONALE D’AZIONE
Comitato Provinciale di Brindisi
Verbale della prima seduta
L’anno 1943, il giorno 9 agosto, alle ore 15 pomeridiane, nello studio dell’avv. Vittorio Palermo, in Brindisi, si sono riuniti: il sig. Guglielmo Cafiero, il sig. Donato Ruggiero, l’ing. Pietro Sala, l’avv. Giovanni Stefanelli e l’avv. Vittorio Palermo, (alcuni dei quali erano diggià in intenso e quotidiano contatto da un paio d’anni fra loro ed altri elementi antifascisti pugliesi ed italiani) e, — ritenuta la opportunità di realizzare la formazione di un Comitato provinciale di concentrazione antifascista —, stabiliscono di costituire nella stessa data un primo nucleo del Comitato stesso e di allargarlo con elementi di sicura fede e di condotta patentemente antifascista che, dalla destra alla sinistra, si attengano alle direttive seguite dal Comitato Centrale del Fronte Nazionale; e particolarmente:
1°) collaborazione con il Governo di S. E. Badoglio;

2°) contributo all’opera di epurazione degli elementi fascisti o compromessi con il fascismo

3°) lotta contro il nazismo;
4°) propaganda in favore di una pace separata.
I singoli componenti di questo primo nucleo prendono specifici incarichi di avvicinare altri elementi di sicuro passato antifascista per invitare costoro a far parte del Comitato provinciale del Fronte Nazionale.
Funge da segretario ufficioso l’avv. Vittorio Palermo che fa una relazione sintetica sulla situazione politica italiana raccolta nei suoi ultimi viaggi a Bari, Roma, Milano nel giugno-luglio 1943 a seguito dei contatti presi con alcuni
esponenti (di cui fa i nomi specifici) del movimento antifascista di quelle città.
La seduta si chiude con il formale impegno di riunirsi il giorno 11 agosto.
Brindisi, 9 agosto 1943
Ilf. segretario
avv. Vittorio Palermo

volantino sequestrato in casa di Raffaele Trinchera il 10 ottobre del 1943

1943 settembre 18 Volantino – appello ai «Giovani d’Italia» per incitare a prendere le armi contro i tedeschi

5) Corso Umberto angolo via Conserva saluto ad Adriana Inglese “centralinista” della Resistenza. Questa tappa è dedicata alle donne che parteciparono alla Resistenza

“Spesso mi pongo questa domanda “se come nei film potessi fare un viaggio nel tempo e mi ritrovassi  negli anni in cui resistere, pedalare, resistere, significava rischiare la vita, io  cosa sarei con la mia bicicletta?”
Mi piace pensare che non avrei esitazione alcuna nel decidere da che parte stare e che uso fare della mia bicicletta.
Questa è per noi una tappa speciale. Sotto questa casa il 25 aprile zampilla sempre. Qui vive Adriana Inglese , centralinista della resistenza.

Con questa tappa vogliamo rendere grazie e merito al contributo che le donne diedero alla Resistenza, prima, e poi alla ricostruzione del nostro paese devastato dalla guerra dalle bombe e dalla miseria in cui il regime fascista l’aveva condotto. Le donne nella Resistenza Italiana in tutte le città le donne partigiane lottavano quotidianamente per recuperare beni di prima necessità per il sostentamento dei compagni. Vi erano gruppi organizzati di donne che svolgevano propaganda antifascista, raccoglievano fondi ed organizzavano assistenza ai detenuti politici ed erano impegnate anche nel mantenimento delle comunicazioni oltre che nelle operazioni militari. Le donne che parteciparono alla Resistenza, facevano parte di organizzazioni come i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e le Squadre di Azione Patriottica (SAP), e inoltre, fondarono dei Gruppi di Difesa della Donna, “aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica o religiosa, che volessero partecipare all’opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione”, per garantire i diritti delle donne, sovente diventate capifamiglia, al posto dei mariti arruolati nell’esercito.
I compiti ricoperti dalle donne nella Resistenza furono molteplici,  portando il loro contributo  di genere, politico ed organizzativo e sino a cimentarsi con le armi. Particolarmente prezioso era il loro compito di comunicazione come staffette percorrendo chilometri in bicicletta, a piedi , in corriera col rischio  di essere arrestate.
Il ruolo della staffetta, era spesso ricoperto da giovani donne tra i 16 e i 18 anni, con il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate e  mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie;
Tante furono le donne combattenti che al fianco dei partigiani combatterono contro il nazifascismo.
Per decenni a livello storiografico ed istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo
relegato ad un ruolo secondario, che scontava “di fatto” una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva “declinata” al «maschile»
Per questi motivi si parla di Resistenza taciuta.
I dati

  • 70000 donne organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna;
  • 35000 donne partigiane, che operavano come combattenti;
  • 20000 donne con funzioni di supporto;
  • 4563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti;
  • 2900 giustiziate o uccise in combattimento;
  • 2750 deportate in Germania nei lager nazisti;
  • 1700 donne ferite
  • 623 fucilate e cadute;
  • 512 commissarie di guerra;
Sono le staffette che il 25 aprile 45 portano a tutti i dirigenti antifascisti a Milano l’appelloall’insurrezione del CLN Alta Italia:
Cittadini
lavoratori contro l’occupazione tedesca! Contro la guerra fascista! Per la
salvezza delle nostre terre , delle nostre case, delle nostre officine!
Manifestate per le strade sotto la bandiera del tricolore del Comitato di
liberazione, Come a Genova e a Torino , ponete ai tedeschi davanti al dilemma :
arrendersi o perire! Verso lo sciopero generale ! Viva l’insurrezione!
E l’ordine di insurrezione firmato il 24 aprile da Pietro Longo è affidato ad una donna Lina Fibbi staffetta partigiana
del comando generale delle Brigate Garibaldi  comandato da Pietro Secchia. Mai donna ebbe un compito così significativo per il nostro Paese.
Noi riteniamo che il nostro paese , che sta attraversando la più grave crisi economica e politica dal dopoguerra,  ha
ancora una volta bisogno della massima partecipazione delle donne alla sua riscossa e chiediamo che tutte le barriere che impediscono il pieno coinvolgimento delle donne  alla vita sociale e politica dell’Italia vengano rimosse come recita l’articolo 3 della Costituzione italiana dove si sancisce l’uguaglianza dei cittadini: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali”.
Ora vi presento Adriana Inglese Paloscia, attraverso un suo racconto raccolto da Francesco Gioffredi
«Lasciammo Brindisi perché tutti noi figli volevamo studiare all’Università.
Papà era nella Marina militare, chiese al ministero della Difesa il trasferimento in una città universitaria. A Roma non era possibile, ci mandarono a Genova, vivevamo dov’era la Capitaneria. Genova negli anni della guerra era bersagliata dai bombardamenti notturni. C’erano 5-6 allarmi, ci rifugiavamo nelle gallerie, il porto era avvolto dalla nebbia dei fumogeni». La famiglia Inglese non restò impassibile dinanzi allo sfregio, proprio no
.>>
Adriana e sua sorella Fernanda – giovani, belle, studentesse universitarie – decisero di sporcarsi le mani con la polvere della storia: «Aiutavamo, nel massimo riserbo, i partigiani. Io, nel cuore della notte, ricevevo una telefonata. Non sapevo chi c’era dall’altra parte, sentivo solo una voce che mi dettava un numero di telefono e poi un messaggio (ad esempio “I fiori sono alla finestra” ). Io dovevo ripetere quel messaggio al numero indicato. senza sapere chi fosse il destinatario. “I fiori sono alla finestra” , comunque, stava a indicare l’arrivo dei paracadutisti con armi e viveri».
Da brividi le missioni della sorella, che s’era guadagnata i galloni del rischio per via dell’età: «Fernanda era cinque anni più grande. Lei faceva la vera e propria staffetta: grazie a un ufficiale di collegamento, riusciva a portare ai prigionieri politici dei panini imbottiti di messaggi. Poverina: all’ingresso c’era sempre un tedesco che le accarezzava i capelli dicendole “Bella signorina”. Ha rischiato la vita sul serio.>>
Il racconto della signora Adriana ansima come un mantice quando s’arriva lì, alla Liberazione. «L’annuncio ci arrivò dai francesi, Genova era blindata. Fu un’emozione unica, commovente, vedere i partigiani arrivare in corteo con i nazisti prigionieri. Io gridavo ai tedeschi “Raus! Raus!” (ndr: in tedesco vuol dire “fuori”). Ma non dimenticherò mai i partigiani così belli col fazzoletto rosso al collo».
Pochi mesi dopo, dicembre, Adriana Inglese sarebbe diventata la signora Paloscia: treno e giù fino a Brindisi.
Grazie Adriana, centralinista della resistenza. Oggi i fiori li mettiamo noi alla tua finestra.
6)  Corso Garibaldi angolo via Rubini ( ex vico dell’orologio) sosta dinanzi al luogo dove il 1 maggio del 1922 i fascisti locali assaltarono a colpi di pistola  il corteo pacifico di lavoratori festeggianti il 1 maggio, uccidendo . Furono centinaia i lavoratori e, sindacalisti attivisti politici uccisi dalle squadre fasciste tra il 1921 e 1922
In questo luogo il fascismo brindisino svelò la sua vera  faccia : quella dell’assassinio, della vigliaccheria e dell’essere protetto da uno Stato  e da istituzioni reazionarie.In quel primo maggio del 1922  ,per celebrarlo,  le organizzazioni sindacali e i partiti socialisti e comunisti proclamarono lo sciopero generale e contro il quale  in tutta Italia i fascisti si mobilitarono, assalendo cortei ed sino a dare la caccia nelle trattorie di coloro che
festeggiavano il 1 maggio.
Narra Beniamino Andriani , antifascista socialista e sindacalista poi  vicesegretario della CGIL nel 1945:
“-Il corteo si partì dalla camera del Lavoro in via Filomeno Consiglio, aprivano il corteo i giovani socialisti e comunisti, seguiti per ordine di
anzianità dalle organizzazioni sindacali: i contadini, i muratori, i portuali, ecc.
Nel Piazzale della Stazione si presentava uno spettacolo meraviglioso di migliaia di lavoratori . Durante il comizio ci fu qualche tentativo di provocazione dei fascisti respinto dai lavoratori. Alla fine della Manifestazione il corteo fu attaccato qui in questo luogo   a colpi di
rivoltellate e si ebbero tre feriti gravi e un morto il bracciante Meoli rimasto invendicato!
I fascisti locali, dopo essersi fatti 5 mesi di carcere dorato, il giorno della marcia su Roma, il 28 ottobre uscirono trionfanti con la copertura delle istituzioni!”- Moltissime furono le violenze alla festa del lavoro il 1 maggio 1922 e che videro le camicie nere assaltare manifestazioni operaie e popolari, provocando morti e feriti da Roma, Alfonsine (Ra), Rovigo, Romagnano Sesia (No), Binanuova (Cr), Livorno, Colle di Val d’Elsa (Si), Perugia, sino ad Andria (Ba).in provincia di Bologna in un’osteria di Rivabella di Zola Predosa (Bo) i fratelli Alfonso e Vincenzo Vignoli  furono uccisi e feriti 8 loro compagni che cantavano inni socialisti. Si contarono alla fine della giornata sei morti socialisti e sei squadristi. mai, nella storia del socialismo italiano, il 1º Maggio fu più squallido e funereo di quello del 1922″.
Ma non fu un fatto isolato, poiché tra l’ottobre 1920 e l’0ttobre 1922, ben  600 lavoratori furono uccisi da fascisti a cui si aggiungono altre centinaia di lavoratori uccisi dalle forze di polizia del re e per un totale 1500 lavoratori , sindacalisti e politici di sinistra uccisi in due anni
Solo nel1921 in 10 mesi di squadrismo fascista  furono  distrutte 17 tipografie di giornali, 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 coperative, 83 leghe contadine, 8 società di mutuo soccorso, 141 circoli comunisti e socialisti, 110 circoli culturali, 10 biblioteche popolari, 28 sindacati operai, per un totale di 726 sedi di organizzazioni di lavoratori.
Soltanto nei primi sei mesi del 1922 166 lavoratori sono uccisi e 500 feriti
Cogliamo l’occasione per ricordare quanto fu determinante per l’avvento del fascismo la divisione che ci fu tra  le forze democratiche e antifasciste
nonostante che dagli strati popolari venisse l’invito all’unità d’azione  e come svincolate dai partiti nascessero in molte parti d’Italia le sezioni degli Arditi del popolo. Accusate di essere anarcheggianti e poco inclini a farsi sottomettere agli equilibrismi della politica, questa forma di difesa armata popolare, quando ebbe il sostegno corale di tutte le forze antifasciste, come nel caso di Parma, ma anche di Bari,  riuscì a dare risposte vittoriose,
ma ormai era troppo tardi e si dovette aspettare 20 anni affinché nascesse la Resistenza con il contributo di tutti i partiti antifascisti.
Anche in  Puglia in quel terribile 1922 si tentò di opporsi con le armi alla violenza fascista, come a Bari dove, nell’agosto del 1922 , per bel cinque giorni le squadre degli Arditi del popolo  difesero la città vecchia dagli assalti dei fascisti comandati dall’agrario Caradonna e dalle guardie regie,  respingendoli con morti, feriti e giungendo a fare addirittura prigionieri  ben trenta fascisti della  Decima Legio  giunti da Arpinati  e trenta guardie regie  .
Per entrare nella Bari proletaria si dovette attendere tre mesi quando con la marcia su Roma, Mussolini prese il potere e nella notte del 1 novembre 1922  fu inviata una intera divisione di fanteria con le mitragliatrici per occupare la Camera del Lavoro di Bari
21 anni dopo , il 9 settembre 1943  Bari sarà la prima grande città del Sud che si libererà dai nazifascisti con le armi, grazie al generale
Bellomo che chiamò il popolo alla difesa della città e dove giovani scugnizzi come Michele Romito scacciarono i tedeschi a colpi di bombe a mano.
Viva la Resistenza popolare e antifascista!
Ora e sempre Resistenza!”
7) Via Carlo de Marco omaggio ad un’eroe brindisino appena riscoperto: Marco Eftemiadi, nato a Brindisi, di origine albanese, di Valona e di lingua greca. Esempio della mescolanza tra culture e provenienze diverse, vero tesoro della gente brindisina , che diede la sua vita da patriota , partigiano nei GAP, al fianco degli antifascisti, impiccato insieme a ad altri 43 martiri a via Ghega nel 1944 a Trieste, la stessa città fu ucciso Vincenzo Gigante.

Franco Zaccaria parla del suo parente Marco Eftemiadi in via Carlo De Marco

Due e differenti sono le note biografiche di Eftimiadi Marco:
“Eftimiadi Marco. Nato a Brindisi, il 24 gennaio 1921 da Luca e Zaccaria Raffaella Lucrezia Gioconda in via Carlo Demarco n°1. Partigiano dal 9 settembre 1943 nella formazione GAP del IX Corpo dell’ELPJ. Viene impiccato come ostaggio, assieme ad altri 50 martiri, a Trieste, in via Ghega, il 23 aprile 1944.
Cfr. C. Ravnich, Martiri ed eroi della divisione Garibaldi, op. cit., Padova, 1950, pag. 91; Brigata d’Assalto Garibaldi – Trieste, Elenco nominativo dei caduti, c/o IFSML.”Da  Ippazio Pati Luceri
“Marco Eftemiadi studente alla facoltà di scienze economiche e commerciali dell’Università di Trieste,entrò nell’antifascismo attivo alla fine del 1942.Dopo l’armistizio del settembre 1943 non potendo come era suo vivissimo desiderio recarsi fra i partigiani in montagna a causa di una imperfezione fisica, entrò nell’organizzazione clandestina della resistenza “Fronte della gioventù ” che operava a Trieste.
Vi prestò attività intesa ed apprezzata. Collaborò con entusiasmo a giornali clandestini della resistenza nonché alla compilazione di materiale di
propaganda.
A causa di questa attività, fu arrestato nella notte del 1 marzo 1944 da una decina di militi della S.S. insieme ad altri dirigenti della resistenza e rinchiuso nelle segrete del comando S.S. di piazza Oberdan e successivamente nelle carceri del Coroneo.
Sopportò eroicamente le feroci torture cui tu sottoposto durante la prigionia e non tradì i compagni di lotta. Fu impiccato dai nazisti il 23 aprile 1944 nel palazzo Rittmayer di via Ghega.” Da: IRSML Trieste, Ufficio Storico, documento n° 2825 del 07. 11. 1952

commemorazione in via Carlo De Marco il palazzo dove è nato Marco Eftemiadi

8) Lungomare, giardinetti del porto  tappa conclusiva:  lancio di fiori in mare e omaggio ai combattenti per la libertà  e che in tanti diedero la vita in Yugoslavia, Albania , Grecia. Ricorderemo come su quel molo Vincenzo Gigante ed altri giovani socialisti ,  antimilitaristi e pacifisti  nel 1920 condussero l’ agitazione politica tra le truppe che andavano a reprimere il popolo albanese in rivolta. Una testimonianza che conferma lo spirito di
solidarietà e fratellanza tra popoli che ha sempre contraddistinto la nostra città . Uno spirito riconfermato
Lungomare Brindisi:
Ha un significato di alto valore simbolico la tappa su questo  lungomare,  luogo dove la città volge lo sguardo ad Oriente verso popoli e culture
differenti ma con i quali non è mai mancato dialogo, solidarietà  e senso di comune fratellanza, attraverso azioni esemplari della popolazione brindisina, quali l’accoglienza dei 20000albanesi nel marzo 91 o l’ostinata solidarietà ad ogni 28 marzo alle vittime  della nave albanese Kater I Rades.
Ma  anche altri episodi ci spingono qui a rendere omaggio con un lancio di fiori in mare e la lettura di  poesie. Su questo molo  90 anni fa ,  i giovani socialisti brindisini il 29 giugno  del 1920 distribuirono  volantini antimilitaristi e anticolonialisti, e animati di spirito internazionalista incitarono
all’obiezione di coscienza  le truppe italiane che stavano imbarcandosi alla volta dell’Albania  per  reprimere il popolo albanese in rivolta contro l’occupazione italiana  e che reclamava l’indipandenza. Tra quei giovani socialisti vi erano semplici operai come il 17enne  Masiello Annunziato Arcangelo o  il 19enne Vincenzo Antonio Gigante .
L’opera  di agitazione e propaganda contro la guerra , al grido di “ non un fucile si deve rivolgere contro altri proletari “ fu così efficace che  Brindisi fu uno dei tre luoghi ( dopo Trieste ed Ancona ) dove le truppe italiane si  ammutinarono, al fianco  dei lavoratori portuali scesi in sciopero,  giungendo sino ad opporsi con le armi ai carabinieri e agli ufficiali.
Nello scontro un militare morì  e due furono feriti e  64 giovani militari degli arditi, le truppe di assalto,  finirono dinanzi alla corte marziale accusati di diserzione.
Quell’episodio fu rilevante per il futuro politico di Gigante e la sorte volle che morisse , da partigiano ucciso dai nazifascisti , proprio a Trieste la città che in quel 1920 con lo sciopero dei portuali diede il via alla protesta contro la guerra al popolo albanese. Un destino nel quale Gigante  fu accomunato ad un altro brindisino, di origine albanese, Marco Eftemiadi, anch’egli partigiano anch’egli ucciso dai nazisti a Trieste.
Su questo molo  23 anni dopo approdarono il 25 settembre del 1943  i pochi militari  gravemente feriti,  superstiti della divisione Perugia fuggiti dai porti albanesi,sotto le bombe degli Stukas.Dei loro commilitoni vogliamo ricordare il generale Ernesto Chiminello e  i 120 ufficiali e sottufficiali che avendo resistito con le armi ai tedeschi furono giustiziati, i loro corpi bruciati e poi gettati in mare. Una sorte simile la subirono centinaia di nostri militari nell’isola di Kos, di cui i familiari non hanno mai potuto trovare i resti.
Una fine che li accomuna ai martiri di Cefalonia, i 20.000 marinai italiani che con il loro sacrificio sancirono la rinascita  di quell’Esercito di liberazione nazionale che, partendo dalla Puglia,. al fianco degli alleati e dei partigiani, liberò l’Italia dal nazifascismo
Tra tanti militari italiani  che dopo l’8 settembre entrarono a far parte della resistenza, yugoslava albanese, greca,  vogliamo ricordare i  tremila  in gran parte superstiti  proprio della divisione Perugia  che, dando vita al “Battaglione Gramsci per un anno e mezzo affrontarono in armi i fascisti italiani e i nazisti insieme ai partigiani albanesi, partecipando nel novembre del 1944 alla liberazione di Tirana.  Ma  vogliamo ricordare che  ventimila disertori italiani trovarono rifugio tra  poverissime famiglie albanesi che  che li sfamarono e li nascosero  ai rastrellamenti tedeschi.
Con  questo lancio di fiori in mare vogliamo rendere omaggio e dire  un grazie a tutti coloro  italiani, albanesi, greci,  yugoslavi che  con la loro opera  dall’altra sponda di questo mare ci hanno reso liberi e ci hanno insegnato che il destino e il cammino verso la libertà ed il progresso è comune a tutti gli esseri umani ed è con un appello all’uomo , leggendo la poesia  “-Prima di tutto l’uomo”- del poeta turco Nazim Hikmet, scritta in un carcere.
Con questo appello all’umanità , di condanna della violenza, del carcere come negazione di ogni diritto , del razzismo e di ogni forma di
pregiudizio e di xenofobia che concludiamo il nostro percorso antifascista  cittadino del 25 aprile.
Non vivere su questa terra come un estraneo
o come un turista della natura.
Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre:
credi al grano  alla terra al mare ma prima di tutto credi nell’uomo.
Ama le nuvole le macchine   i libri  ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che si secca
dell’astro che si spegne
dell’animale ferito che rantola
ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia  le quattro stagioni ti diano gioia
ma soprattutto  a piene mani ti dia gioia l’uomo!
(ultima lettera al figlio)
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