Il 28 novembre 1977 Bari perse la sua innocenza. Un omicidio politico – il primo consumatosi sotto gli occhi della generazione di baresi cresciuti negli anni ‘50 e ‘60 – sfatò per sempre il mito della città tranquilla, immersa nei commerci, aliena dai conflitti e dalla violenza. L’antifascismo barese ebbe un caduto: il diciottenne Benedetto Petrone, ucciso dai neofascisti e destinato a diventare un’icona delle lotte giovanili dei tempi seguenti. Ed ebbe un movimento popolare da gestire, da indirizzare: decine di migliaia di operai, impiegati, studenti, che nei giorni e nelle settimane dopo l’assassinio scesero in piazza quasi a materializzare una Bari antifascista di cui, fino a quel momento – dopo gli episodi di resistenza e di sangue risalenti al lontano 1943 – sembravano essersi perse le tracce. Quel nuovo movimento antifascista travalicò i confini tradizionali della sinistra, per investire fasce popolari ampie, il sindacato cattolico, il mondo del giornalismo e la stessa moderatissima «Gazzetta del Mezzogiorno», smuovendo pure il consiglio comunale e qualche personalità democristiana. Si badi bene: il movimento antifascista, cioè l’antifascismo come protesta, sdegno, azione concreta e militante; laddove l’antifascismo barese tradizionale (ma anche quello italiano) era stato vissuto in maniera intermittente, e spesso ridotto – al di fuori della sinistra organizzata – a vuota dichiarazione di principio, priva di conseguenze pratiche.

Bari stava cambiando? O era soltanto “un’altra” città che insorgeva, sull’onda dell’indignazione per un delitto brutale? Certo, si trattava di una minoranza sebbene cospicua; ma una minoranza che, prendendo coscienza – come sempre avviene nelle accelerazioni della storia – scopriva improvvisamente di non essere marginale; si sentiva grande e forte delle proprie ragioni. Nei tempi brevi, però, ad averla vinta fu  la “vecchia” Bari: quella del blocco edile, della borghesia bottegaia, del moderatismo benpensante. Essa seppe attendere che la rivolta popolare rifluisse; riordinò le sue file, da un lato salvando i neofascisti colpevoli del delitto (la sentenza del processo dette loro ragione, individuando un singolo capro espiatorio), dall’altro avviando la denigrazione della figura di Petrone. Soprattutto, seppe impedire che da un’inaudita presa di coscienza collettiva potessero nascere un’alternativa politica e una diversa ipotesi di alleanze sociali. Cosicché la Bari degli anni ’80 visse la rivoluzione passiva del craxismo (nel frattempo era morto anche Moro), che aprì la strada perfino all’ingresso, nell’amministrazione cittadina, degli eredi di chi era responsabile politico, morale e forse anche materiale dell’omicidio Petrone.

Nei tempi lunghi, si può invece affermare che il movimento antifascista barese del ’77 ha lasciato un segno e ha gettato un seme fecondo. La memoria di Benedetto Petrone – di una figura limpida di giovane impegnato contro le ingiustizie, per una città migliore – ha “lavorato” in profondità, contribuendo a formare non poca parte delle giovani generazioni. La coscienza antifascista, alimentata e arricchita dalla memoria storica, è stata un elemento costitutivo della cultura politica che ha accompagnato lo stesso rinnovamento civile della città di Bari e della Regione Puglia negli anni 2000: un dato innegabile anche se non privo di contrasti e non acquisito definitivamente una volta per tutte. Quella pagina così drammatica e cruciale va giustamente ricordata con un sentimento di partecipazione attiva, in quanto rappresenta in qualche modo un nervo scoperto, un nodo analitico e problematico della vicenda storica recente, intorno al quale non s’è aggregata una memoria condivisa: anche se – e questo è straordinariamente positivo – essa è stata pienamente assunta nell’agenda ufficiale dell’Anpi e delle istituzioni locali, in quanto momento esemplare del “nuovo antifascismo”, cioè della resistenza contro le strategie antidemocratiche che si sono avvalse del neofascismo in tutte le sue forme.

Pasquale Martino)

 

 

 
 
 
 
 
 
Le iniziative per ricordare Benny:
 

 

                                                                Bari, 28 novembre 2011

L’Amministrazione Comunale  in collaborazione con il Comitato Benedetto Petrone e l’ANPI,  intende ricordare, con la deposizione di una corona, il 34° anniversario della scomparsa di Benedetto Petrone.

La cerimonia si svolgerà lunedì 28 novembre prossimo in due distinti momenti:

alle ore 10.30 in Via Benedetto Petrone, presso la targa stradale;

alle ore 10.45 in piazza Libertà presso la lapide commemorativa.

A seguire, presso la sala Consiliare “E. Dalfino” di Palazzo di Città, avrà luogo la proiezione di una sintesi ragionata, curata dalla regista Cecilia Mangini, del documentario storico del 1961 “All’armi siam fascisti!”, introdotta dal Prof. Vito Antonio Leuzzi, direttore dell’IPSAIC.

Manifestazione 28 Novembre 2011 ore  17:30 P.za Umberto – BARI… con Benedetto Petrone nel cuore … Corteo indetto dai movimenti giovanili antifascisti

 Brindisi 26 novembre

BRINDISI: sabato 26 novembre · 17.30 – 20.30 via Umbria 24 alle ore 17,30

proiezione del Film-inchiesta “Benny vive!”

 L’ANPI di Brindisi, grazie al regista Francesco Lopez, nel corso della serata dedicata alla campagna nazionale per il nuovo tesseramento e divulgazione delle attività dell’ANPI, proietterà  per la prima volta in città il film “Benny vive”, a  cui farà seguito un dibattito .

Il film-inchiesta di Francesco Lopez, regista barese.

E’ un film che parla non solo della tragica fine di un giovane di 17 anni, iscritto alla FGCI, per mano di una squadraccia di neofascisti baresi in quella notte del 28 novembre1977, ma anche dei sogni, delle speranze e  delle lotte di Benedetto ”Benny” e dei suoi compagni della Bari vecchia, un quartiere abitato da una umanità scomoda agli occhi di quella  “Bari bene”  che sognava la speculazione edilizia e l’espulsione dei “proletari” da esso per farne una lucida vetrina simile a quelle lussuose di via Sparano.

I neofascisti baresi in quegli anni erano il braccio armato di questo disegno.

Il film fa parlare direttamente, con il metodo dell’intervista, i soggetti coinvolti da entrambi i fronti  e mette a nudo aspetti non secondari della vicenda, come la frequentazione di Piccolo, l’unico condannato tra i missini, con le cellule neofasciste presenti a Brindisi e collegate con le stragi che hanno insanguinato il nostro paese negli anni 70 e 80, o i campi paramilitari pugliesi dove ci addestrava al colpo di Stato, o ancora il ruolo dei mazzieri di Taranto, poi riciclatisi nelle liste civiche che li portarono al governo di quella città negli anni 90.

Nel  film si  narra del fiume di operai della zona industriale di Bari e di giovani  studenti e gente del quartiere di Bari vecchia che, la mattina seguente all’assassinio di Benedetto, decise di chiudere definitivamente, con l’azione diretta i luoghi e le sedi dei fascisti.

Un film per ricordare,  ma anche trarre motivo di sentire in noi sempre vivi i motivi della Resistenza al Fascismo vecchio e nuovo, ad ogni forma di intolleranza, razzismo, xenofobia, all’uso della violenza come forma di imposizione ideologica e attacco ai valori della nostra Costituzione. 

 Quella pagina così drammatica e cruciale va giustamente ricordata con un sentimento di partecipazione attiva, in quanto rappresenta un nervo scoperto, un nodo analitico e problematico della vicenda storica recente, intorno al quale non s’è aggregata una memoria condivisa: anche se – e questo è straordinariamente positivo – essa è stata pienamente assunta nell’agenda ufficiale dell’Anpi e delle istituzioni locali, in quanto momento esemplare del “nuovo antifascismo”, cioè della resistenza contro le strategie antidemocratiche che si sono avvalse del neofascismo in tutte le sue forme.

L’ANPI di Brindisi è convinta che la coscienza antifascista, alimentata e arricchita dalla memoria storica, è stata un elemento costitutivo della cultura politica che ha accompagnato lo stesso rinnovamento civile della città di della Puglia negli anni 2000.

 

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