21 MARZO 2017 22.a GIORNATA DELLA MEMORIA E DELL’IMPEGNO IN RICORDO DELLE VITTIME INNOCENTI DELLE MAFIE

L’ANPI di Brindisi aderisce a Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

Hyso, i caporali e le vittime della mafia

Hyso Telharaj. Chi era costui? Uno straniero, non c’è dubbio. Che cosa mai può importarci della sua vita e della sua morte violenta? Del resto se ne è andato diciotto anni fa. I suoi assassini non sono mai stati processati e condannati. Che importanza può avere per noi un vecchio delitto che riguarda un immigrato. Un “cold case” che non ci interessa.

Ma, a futura memoria, è meglio raccontarla la storia di questo ragazzo, venuto da non molto lontano, e di un vino rosso, fatto con l’uva coltivata sulle terre confiscate alla Scu di Mesagne e lavorate in una cantina di Torchiarolo confiscata a un ex boss della Sacra Corona, un vino che riporta sull’etichetta il suo nome. Hyso era un ragazzo albanese che viveva in un paese lontano da Tirana, Durazzo, Valona. Il padre era malato, lavoro non ce n’era e lui, giovanissimo e responsabile, venne in Italia, in Puglia.

La stessa rotta dei barconi pieni di gente che sfuggiva alla guerra civile. Il tam tam dei suoi connazionali, che erano già emigrati, lo portò in Capitanata. “Qui c’è da lavorare”. Gli dissero. “È dura, ma qualcosa si guadagna”. Hyso sapeva bene che qui non avrebbe trovato il paradiso, cercava solo un po’ di giustizia sociale e qualcosa da guadagnare con un lavoro onesto. Diventò bracciante e ogni settimana mandava i soldi a casa, per la sua famiglia. La giustizia sociale non c’era. Ancora oggi, con i braccianti albanesi sostituiti da braccianti africani, non c’è.

Hyso in Capitanata trovò sfruttamento e morte. I caporali gli chiedevano tangenti per ogni giornata di lavoro. Ma lui aveva un grande senso della giustizia e aveva bisogno di soldi da mandare al padre malato. Si ribellò. L’8 settembre del 1999 fu trovato morto, gli spararono nei pressi di Cerignola. Aveva 22 anni. Non aveva ceduto al ricatto dei caporali, non aveva piegato la testa e si era opposto a quella logica spietata. Questa storia ci riguarda, perché gli dobbiamo molto. Accese i riflettori su condizioni di vita inumane che ancora oggi vivono donne, che qui sono nate, e migranti, tutti lavoratori dei campi.

Ogni 21 marzo, primo giorno di primavera, da quando fu ucciso, anche il nome di Hyso viene letto ad alta voce in tutte le città d’Italia in occasione della commemorazione delle vittime di mafia. Questa giornata diventerà istituzionale, come il 25 aprile e il primo maggio. “Dobbiamo chiedere scusa a Hyso e alla sua famiglia, perché non abbiamo fatto abbastanza per salvarlo dalla mafia del caporalato” disse don Luigi Ciotti. Ma, sino allo scorso anno, la sua famiglia non sapeva nulla di tutto questo. Fu una ragazza albanese, che studia in Italia, a scoprire, un’estate in cui aveva voluto fare la volontaria con Libera Terra a Mesagne, che esisteva un vino dal nome albanese, Hyso Telharaj. Si prese una bottiglia e, quando tornava a casa in Albania, cercava senza sosta quella famiglia, sino a quando incontrò due sorelle e un fratello di Hyso. Così la famiglia Telharaj è stata in Puglia, ha visitato il luogo dove Hyso fu ucciso, ha incontrato i volontari di Libera a Brindisi, ha visitato la cantina che produce quel buon vino che ha il nome di Hyso. La stessa cantina che ha intitolato altri vini a Renata Fonte e, oggi, anche a Marcella Di Levrano, giovane mesagnese, tutte vittime innocenti della mafia. L’emozione è stata forte.

Le vittime del caporalato sono a tutti gli effetti vittime innocenti di mafia, come le nostre donne, le nostre braccianti che hanno perso la vita in incidenti stradali sui pulmini dei caporali e nei campi, come Paola Clemente di Taranto, come Pompea Argentiero (16 anni), Lucia Altavilla (17anni), Donata Lombardi (23 anni, mamma di tre bambini), Cosima Valente (36 anni), Domenica Abruzzese (47 anni), tutte di Ceglie Messapica. Come Maria Marsella, Maria dell’Aquila e Antonia Carbone di Oria.
“Nonostante le minacce, Hyso non ha mai ceduto al ricatto dei caporali”, è scritto sulla bottiglia del buon rosso. “A lui e a tutti coloro che non chinano la testa dinanzi all’arroganza mafiosa, dedichiamo questo vino”.

 

Tea Sisto

 

Nuovo Quotidiano   -Martedì 21 Marzo 2017 –