Lo spionaggio e gli intrighi fanno anche la Storia, oltre che le sceneggiature per i film sugli agenti segreti. Succede pure, come dimostra il recente scandalo Datagate, quando ciò che dovrebbe restare celato viene a galla, scatenando conseguenze impreviste. Durante la Seconda guerra mondiale un retroscena spionistico finora sconosciuto ha avuto la sua parte in una fase drammatica: le trattative segrete che avrebbero portato all’armistizio di Cassibile tra il Regno d’Italia e le forze alleate anglo-americane.
È grazie allo studio certosino di Gianluca Barneschi, avvocato romano nel settore delle radiodiffusioni e telecomunicazioni con il pallino della ricerca storica, se oggi veniamo a conoscere risvolti e personaggi finora inediti in uno dei periodi più tragici e concitati nella storia d’Italia. Barneschi ha racchiuso le sue scoperte nel volume L’inglese che viaggiò con il re e con Badoglio (Editrice Goriziana, 290 pagine più un inserto di foto d’epoca, 24 euro).
Protagonista di un concatenarsi di eventi casuali, ma determinanti per l’esito del conflitto, fu Cecil Richard Mallaby, Dick per gli amici e Olaf nelle operazioni in codice: una giovane spia inglese di bell’aspetto e dallo sguardo glaciale, davvero più James Bond di Sean Connery. Questo agente segreto del SOE (Special Operations Executive), che soprattutto alle donne non doveva passare inosservato, fu avvistato due volte in Italia tra l’estate e l’autunno del 1943 prima di scomparire nell’oblio per settant’anni.
La prima, nella notte di luna piena del 14 agosto, mentre veniva paracadutato nelle acque del lago di Como, imbottito di «documenti falsi, 130mila lire, pezzi di ricambio per una ricetrasmittente e i negativi dei codici crittografici, accuratamente nascosti dentro il libro Italia mia di Giovanni Papini (particolare di involontario umorismo)».
L’AGENTE OLAF, che parlava ottimamente l’italiano avendo abitato in Toscana durante l’infanzia, era in missione di spionaggio militare agli ordini del SOE. Ma andò male, l’operazione si rivelò subito un disastro a dir poco. Mallaby venne preso dai pescatori locali e, a riva, «perquisito e interrogato su due piedi dal capitano dei carabinieri con alcuni militari e da un graduato della Finanza», come riportò allora il quotidiano Il Secolo-La Sera. Fu riconosciuto come agente nemico e sbattuto in carcere in attesa di giudizio.
Ma il secondo avvistamento di Dick Mallaby avvenne il 10 settembre, a Brindisi: l’agente segreto britannico sbarcava dalla corvetta Baionetta al seguito del re d’Italia, in nome del quale i giudici di Como dovevano condannarlo a morte per spionaggio, assieme a regina, erede al trono, nonché al capo del governo e ad altri 50 alti papaveri del Regno d’Italia, scappati da Roma all’indomani della proclamazione dell’armistizio.
Perché una spia inglese insieme al gruppo di altolocati fuggiaschi? Cos’era accaduto nelle quattro settimane tra il suo ripescaggio dal lago manzoniano e il viaggio in compagnia delle più alte cariche italiane? L’imprevedibile.
«A causa di fatali ma favorevoli sincronicità», spiega l’autore, «in pochi giorni Dick Mallaby era diventato la persona giusta al momento giusto, da piazzare al più presto al posto giusto e alla quale garantire, invece della fucilazione riservata alle spie nemiche colte in flagrante, la massima protezione».
A salvare l’agente segreto intervennero le trattative di resa che si stavano già sviluppando: il generale Giuseppe Castellano e il diplomatico Franco Montanari avevano bisogno di un modo sicuro e criptato per comunicare con gli anglo-americani senza il rischio di essere intercettati (la Storia si ripete…)
Nel frattempo, dalla sua cella, l’agente Olaf usava tutta l’arte affabulatoria di cui era capace per evitare di finire al muro, «distillando dettagli confessori apparentemente importanti (che, invece, erano irrilevanti e non compromettenti per le attività SOE), per accreditare l’idea che fosse più utile lasciarlo in vita». Intanto, qualcuno nell’entourage del generale Kenneth Strong suggerì che bastava dotare gli italiani di una delle raffinate radio inglesi per comunicazioni segrete. Ma chi sarebbe stato capace di usarla? Barneschi rivela: «A Castellano e Montanari venne segnalato che la persona giusta per usare quel sofisticato apparecchio era già in Italia. Si trattava di tale Dick Mallaby che, da informazioni acquisite, era stato catturato, ma risultava ancora vivo. Così Mallaby fu rilasciato e divenne responsabile per la trasmissione di tutti i messaggi tra Roma e il quartier generale delle forze alleate».
( di: Lorenza Costantino da: http://www.bresciaoggi.it/stories )
.[..] Non tutti sanno che, sulla Regia Nave Baionetta in rotta verso Brindisi, quella sera del 9 settembre 1943, oltre al re, la regina, il Principe Umberto e alti dignitari, c’era un agente dello Special Operations Executive anglo….toscano, o meglio senese.
Cecil Richard, “Dick”, Dallimore Mallaby era nato a Newara Elya sull’isola di Ceylon, allora protettorato britannico, il 26 aprile 1919. Ma, dal 1925 al 1939, era vissuto nei possedimenti che suo padre aveva ad Asciano, nelle “crete” senesi. Qui era andato a scuola. Poi, per un breve periodo, era tornato in Inghilterra e, quindi, rientrato a Modena dove aveva completato gli studi. Il 16 ottobre 1939 era entrato, come caporale, nell’8th Devonshire Regiment passando, nel 1941, nell’8th Commando. Il 15 gennaio 1942 era entrato nel SOE e era stato inviato a Gerusalemme a fare l’istruttore radiotelegrafista col grado di sergente. Si pensò in quell’anno di infiltrarlo in Jugoslavia, ma poi la missione saltò. Nel maggio 1943, invece, venne deciso di mandarlo in Italia per prendere contatto con un gruppo del SOE formato da Italiani, che già operava nel nord Italia. Tramite radio, l’agente avrebbe dovuto collegare questo gruppo con la base SOE detta in codice Massingham ad Algeri, per richiedere armi ed equipaggiamento. Mallaby venne paracadutato all’alba del 14 agosto 1943 sul lago di Como ma ebbe sfortuna: fu subito visto e catturato dalla polizia italiana. Rischiava la fucilazione. Il 27 agosto era a Regina Coeli quando venne liberato e, portato alla sede del Comando SupRemo Italiano, gli venne consegnato un apparato radio ricevente B2 e gli fu detto che da quel momento egli, col nome in codice di Monkey avrebbe tenuto i collegamenti, per conto del Governo Italiano, col quartier generale alleato , nome in codice Drizzle. Che cosa era accaduto? Il generale Giuseppe Castellano, inviato da Badoglio per trattare con gli anglo-americani, si accorse arrivato davanti ai loro massimi responsabili, di non aveva l’autorità di trattare un armistizio ma solo un cambiamento della politica italiana. Venne, quindi, rispedito a Roma perché il Governo Italiano potesse conoscere le condizioni militari di resa, e gli venne fornita una radio con i codici da consegnare a Mallaby che, per questo scopo, doveva subito essere rimesso in libertà. Ecco come un giovane ufficiale anglo-senese entrò nella storia più complicata dell’ultimo secolo. Il sottotenente “Dick” Mallaby assolse il suo compito e, al mattino del 9 settembre, assieme ad altri si imbarcò, con la sua radio, su un aereo militare che, partito da Centocelle, atterrò a Pescara. A sera, mentre l’ammiraglio De Courten non lo voleva a bordo della corvetta Baionetta, fu il generale Vittorio Ambrosio a farlo salire. Per aver assolto al suo compito, il 7 dicembre 1943 Mallaby venne decorato con la Military Cross dopo essersi riunito alla Special Force Number One, il nome italiano del SOE, alla base di Monopoli, nome in codice Maryland. Cecil Richard “Dick” Dallimore Mallaby ebbe, alla fine della guerra, un’altra avventura simile a questa che ora sarebbe troppo lungo raccontare. Basti dire che riuscì a salvarsi dalla fucilazione, coinvolgendo il maresciallo Graziani e dell’SS-Obergruppenfὒhrer Karl Wolff. Mallaby è morto, per un attacco di cuore, nel 1981. Aveva 62 anni. Restava sua moglie che era stata arruolata nel FANY ( First Aid Nursing Yeomanry- Princess Royal’s Volunteer Corps), come ausiliaria addetta alle comunicazioni con gli agenti del SOE in territorio nemico. Il corpo di “Dick” riposa oggi nel piccolo cimitero di Poggio Pinci, presso Asciano.
( di Claudio Biscarini: http://www.dellastoriadempoli.it )
Tra coloro che sbarcarono ( A Brindisi ndr) dalla Baionetta c’era un giovanotto alto, biondo e poco più che ventenne, che non faceva parte né del Regio governo né dell’Alto comando militare. E non era neanche italiano, nonostante lo parlasse perfettamente; quell’uomo era un inglese e si chiamava Cecil Richard Mallaby.
Dick, come lo chiamavano tutti i suoi amici, aveva trascorso in Toscana gli anni formativi della sua vita, nei possedimenti di suo padre (un ex coltivatore di tè in Ceylon che aveva sposato un’italiana), e aveva combattuto nel deserto con i commando. Ma da diciotto mesi a questa parte aveva lavorato per il SOE con mansioni di reclutamento, mentre veniva a sua volta addestrato in tutta la gamma di attività connesse con il servizio, dal sabotaggio al paracadutismo; ed eraappena entrato a far parte del corpo di ufficiali dell’Esercito inglese, col grado di sottotenente. L’aspetto più importante del suo reclutamento consisteva nel fatto che. oltre a essere fluentissimo sia in italiano che in inglese, Dick era un abilissimo radiotelegrafista. Inaspettatamente e imprevedibilmente, questo aspetto del suo addestramento aveva fatto di lui un elemento chiave nelle recenti trattative per l’armistizio.
Non più tardi di un mese prima Dick era stato paracadutato nel lago di Como con un piccolo gommone, con il quale si sarebbe dovuto recare a riva e raggiungere un indirizzo sicuro, una casa nella quale ad attenderlo ci sarebbero state una ricetrasmittente e una lista di nomi e indirizzi da contattare, in modo da stabilire un collegamento tra il SOE e i gruppi locali
della Resistenza. Sfortunatamente, la sera prima la Royal Air Force aveva sottoposto Milano a un pesante bombardamento e tanti sfollati avevano lasciato la città dirigendosi a nord, appunto verso Como. Per agevolare il cammino di queste persone le rive del lago erano rimaste brillantemente illuminate; di conseguenza, anziché calare dall’alto nell’oscurità, il suo
paracadute era stato visto e Mallaby era stato catturato dagli uomini del SIM, il Servizio Informazioni Militari, senza neanche essere riuscito a gonfiare il suo piccolo gommone.
Ma come fortuna volle, questo inaspettato inconveniente accadde proprio all’avvio delle trattative segrete per l’armistizio. Inaspettatamente, Mallaby e la sua radio avevano fornito un elemento cruciale all’operazione, mettendo in atto un validissimo collegamento radio tra gli inglesi e gli italiani.
Dall’ultimo piano del quartier generale dell’Alto comando delle Forze Armate Italiane a Roma, Mallaby, assistito da un abile radiotelegrafista italiano, aveva codificato e decodificato le dozzine di messaggi che erano stati trasmessi e ricevuti, usando un cifrario dal nome in codice «Monkey» (scimmia).
A conclusione di tutto questo si era arrivati alla firma dell’armistizio dell’8 settembre. Gli italiani avevano immaginato (e il SOE si era guardato bene dal contrariare queste loro
supposizioni) che l’arrivo di Mallaby nel lago di Como fosse stato programmato come un’astuta mossa «da parte di quei furbacchioni della British Intelligence» per l’apertura di un
possibile dialogo tra le parti.
Mallaby arrivò a Brindisi portando con sé la sua radio e tutti i codici e cifrari del piano «Monkey», che gli avrebberoconsentito sia di mantenersi in contatto diretto con il SOE che di fornire una comunicazione diretta tra l’Alto comandoalleato e il governo italiano. Gli eventi si muovevano molto rapidamente e la situazione generale era ancora molto confusa. Infatti Mallaby ricevette un messaggio (mentre era ancora in navigazione) da Massingham: «Cerca di stabilire immediatamente contatti con tutte le parti d’Italia. Questa è una cosa
urgente e della massima importanza». Ebbene, entro ore dal loro arrivo a Brindisi, Mallaby e la sua radio si erano installati in una torre del castello di Brindisi, dove solo poche ore prima Popski aveva incontrato un ammiraglio italiano.
Due giorni dopo, quattro uomini che indossavano un’uniforme tropicale arrivarono da Taranto, la base navale italiana, e si insediarono nell’Hotel Internazionale. Anche loro facevano parte del SOE, e avevano con loro un’altra radio e un altro set di codici e cifrari che avevano portato posati su un mucchio di paglia, con dei fiammiferi a portata di mano,
se per caso fossero stati fermati da elementi nemici.
( da: David Stafford: La Resistenza segreta. Le missioni del SOE in Italia 1943-1945. Milano 2013, p. 33,34 )