Eccidio dei fratelli Chionna
di Alberico Balestra
Nel 75° anniversario dell’avvenimento, pubblichiamo un estratto dalla tesi di laurea del prof. Aberico Balestra sulla vicenda dell’eccidio dei fratelli Chionna.
A chi lo volesse racconto come andarono i fatti secondo i documenti e le testimonianze da me raccolti nella mia tesi di laurea “Dal fascismo della democrazia a Francavilla Fontana”:
“ L’accaduto aveva un antefatto che risaliva a un mese prima.
Il 28 marzo 1945 il Comitato di Liberazione locale, formato, dopo la caduta del regime, dai rappresentanti delle correnti politiche antifasciste, aveva organizzato al palazzo del Comune una manifestazione con la presenza del Ministro on. Vincenzo Aranzio Ruiz e l’avv. antifascista Agilulfo Caramia.
Le loro parole furono una requisitoria contro il fascismo, contro il totalitarismo. Ma negli animi degli ascoltatori di estrema sinistra la condanna del Fascismo si convertì in condanna dei fascisti, in desiderio di vendetta. Era un ulteriore momento di nervosismo politico che vigeva in quei giorni in tutta l’Italia. Durante gli interventi, previsti nella manifestazione, dalla folla si sentirono alcuni gridare: “eia, eia..alalà”. Erano grida di infausta memoria. Quelle grida provocarono l’indignazione dei presenti, soprattutto dei giovani del Movimento Giovanile Comunista, che, prima arrabbiati e poi inferociti, imposero ai contestatori di sfollare. Seguì un tafferuglio durante il quale due giovani comunisti furono aggrediti e bastonati. I carabinieri, in seguito all’accaduto, operarono diversi fermi tra i disturbatori fascisti, ma fu un’azione inutile perché la stessa notte dal Prefetto di Brindisi giunse un ordine immediato di rilascio. L’indomani sera una trentina di giovani, appartenenti ai partiti di sinistra, nella piazza del paese discutevano animatamente sull’intervento prefettizio. Molti di loro erano armati di nodosi randelli e questo faceva capire chiaramente le intenzioni del gruppo che, man mano che la discussione si animava, diventava sempre più numeroso. In quel frastuono si elevò un grido: “Alle case dei fascisti!!!”. E come una mandria di bufali inferociti si lanciarono in una corsa di distruzione della sede del Partito Liberale e del Circolo cittadino. Poi si scagliarono contro alcune case private di noti fascisti locali. In casa dell’avv. Manlio Galiano distrussero tutto e rubarono l’argenteria e molti altri oggetti di valore. Poi passarono ad invadere altre abitazioni. Un gruppo si diresse verso quella di Francesco e Salvatore Chionna, che durante il fascismo erano stati squadristi e avevano sempre dimostrato un fedele attaccamento a quel regime. Francesco fece in tempo ad armarsi, uscì sull’uscio di casa e li respinse a colpi di fucile. Gli assalitori spararono anch’essi, ma indietreggiarono. Allora Francesco uscì sulla strada sparando ancora e ferendo quattro di essi più o meno gravemente. I giovani comunisti, ricevuti rinforzi, circondarono la casa e per tutta la notte si susseguirono spari continui. All’alba i carabinieri locali per evitare ulteriori complicazioni arrestarono il Chionna che con poca prudenza fu posto in libertà provvisoria e dopo qualche giorno aveva fatto ritorno in città.
La tesa situazione, che questi precedenti avevano creato, si protrasse fino a maggio; poi sboccò in un tragico incidente il cui bilancio fu di quattro morti. La sera dell’8 maggio 1945 ci fu una manifestazione cittadina per festeggiare la fine della guerra in Europa. Si fece un corteo con la partecipazione del popolo e dei rappresentanti di tutti i partiti aderenti al Comitato di Liberazione. Furono percorse diverse strade del paese ed anche via San Biagio, dov’era la casa dei Chionna. Al passaggio del corteo Francesco Chionna si preoccupò di non farsi vedere mentre Salvatore rimase sulla porta dell’abitazione con atteggiamento indifferente. La manifestazione si svolse senza disordini, ma successivamente, verso le 22 un gruppo di sette giovani comunisti, guidati da Giovanni Bandiera, col fazzoletto rosso stretto al collo, si presentò a casa dei Chionna e riuscì con un espediente ad introdursi nell’abitazione intimando loro di andare alla Camera del Lavoro a dare spiegazioni del loro comportamento. Ne nacque un tafferuglio perché i comunisti, afferrato Francesco, pretendevano con la forza di trascinarlo fuori.
Ciò provocò la reazione del fratello Salvatore il quale, salito su una sedia impugnò una rivoltella e fece fuoco due volte colpendo due giovani: Pesce Cosimo, che stramazzò al suolo cadavere, e Carrieri Cosimo, che si trascinò fuori gravemente ferito. Intimoriti e spaventati dagli spari i giovani comunisti fuggirono.
Non erano armati. Girato l’angolo, allentarono la corsa, ripresero fiato e ritornarono alla Camera del Lavoro. Alcuni portarono il Carrieri in ospedale dove morì qualche ora dopo.
In seguito all’accaduto il segretario della locale sezione del Partito Comunista Italiano si affrettò a richiedere l’intervento dei carabinieri per l’arresto dei colpevoli, mentre lo stesso intervento veniva invocato a scopo preventivo da parte della moglie di Salvatore Chionna, nella previsione dell’inevitabile reazione della folla. Infatti, quando si sparse la voce di quanto era accaduto, vari comunisti e simpatizzanti, insieme con la popolazione, cominciò ad affluire verso la casa dei fratelli Chionna accerchiandola. Il maresciallo Corrà cercò di fronteggiare alla meglio la situazione e si adoperò anzitutto a trattare con i Chionna per il recupero del cadavere del Pesce, ma fu inutile. Col passar delle ore la tensione cresceva, e anche la folla. I pochi carabinieri presenti invocarono l’aiuto del presidio dei militari americani, ma i militari, accorsi, fecero dopo poco causa comune con la folla in tumulto. Furono chiesti rinforzi a Brindisi, che giunsero all’alba. Ma non riuscirono ad arginare la folla, che, ormai inferocita, ruppe i cordoni, sfidò il tiro incrociato degli assediati, si avvicinò alla casa dei Chionna e diede fuoco alla annessa falegnameria lanciando contro bombe a mano e razzi incendiari, sottratti ad alcuni militari americani. L’incendio fu subito spento grazie al pronto intervento dei pompieri del campo americano, ma il fumo rendeva l’aria irrespirabile. Si sentivano le grida disperate della madre ottantenne e si intravidero le braccia sporgere dal pertugio della casa, sicchè alcuni militari alleati si avvicinarono, l’aiutarono ad uscire e la portarono via su una jeep. Uscì fuori per primo Francesco che, immediatamente circondato dalla folla, fu prima colpito con arma da fuoco, non si riuscì a capire da chi, se da un comunista o da un militare alleato, e poi fu percosso e pugnalato a morte. Mentre Francesco cadeva a terra, usciva anche Salvatore che riuscì e rifugiarsi tra i carabinieri. Questi con notevole sforzo riuscirono ad evitare che la massa si avventasse contro, ma non che gli venissero inflitte bastonate e percosse di ogni genere durante il brevissimo tragitto. Quando non ce la fece più a camminare i carabinieri lo appoggiarono al muro. Allora in mezzo a due ali di folla fu preso per i piedi e trascinato sul selciato verso la piazza insieme col fratello, già cadavere. Da via Roma giunsero in quel momento due camion americani per il quotidiano approvvigionamento di frutta e verdura dal Mercato Coperto. Alcuni militari scattavano foto ricordo. Dalle fiancate dei camion furono sottratte due taniche di benzina che venne versata su quei corpi senza vita. Subito dopo seguì un indietreggiare collettivo e, come in un incubo, si levarono alte le fiamme. Nella tarda mattinata i resti dei Chionna furono rimossi da due spazzini, caricati su una carretta e portati in un angolo del cimitero. Intanto era stato recuperato il corpo di Cosimo Pesce, trovato riverso nella falegnameria dei Chionna con un colpo nella spalla destra e un tufo che gli ricopriva il petto e il volto. Nel pomeriggio si svolsero i funerali delle due vittime dei Chionna con una massiccia partecipazione di gente e in un profondo silenzio. Quando l’imponente accompagnamento arrivò sul sagrato della Chiesa Matrice, l’arciprete Antonio Cannalire bloccò l’accesso in Chiesa ai feretri tenendo alte le braccia e ammonendo con voce ferma e decisa che non è consentito entrare….Seguirono momenti di grande tensione, ma quel gesto fiero dell’arciprete convinse il corteo a deviare il suo percorso e ad avviarsi compostamente verso via San Vito.
Era il giorno della festa della Madonna della Croce e nel pomeriggio inoltrato le strade della città si animarono per la visita al Santuario, ma non ci fu la tradizionale processione. In via San Biagio dalla porta della falegnameria fuoriuscivano ancora fili di fumo filtrati dagli ultimi raggi del sole che tramontava.
Comunicato del Comitato di Liberazione Provinciale apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno, del 22/5/1945 Bari, A. LVIII n° 155:
“Il comitato di Liberazione Provinciale, edotto dei gravi incidenti verificatesi in Francavilla Fontana la notte del 9 maggio, mentre li deplora profondamente, addita come causa determinante degli incidenti la mancata epurazione dei più compromessi elementi fascisti. E, nel biasimare le deficienze e la imprevidenza davvero gravi delle Autorità provinciali che erano già a conoscenza della tesa situazione delineatasi a Francavilla Fontana fin da 26 marzo scorso, rileva l’insufficienza delle forze dei Comandi di Polizia e dei Carabinieri, l’inopportunità del provvedimento preso dalla Magistratura di Brindisi per l’escarcerazione di elementi fascisti senza preventiva comunicazione agli organi di Polizia. E conseguentemente richiede una adeguata inchiesta onde accertare chiaramente la responsabilità e suscitare i provvedimenti atti a garantire l’ordine tanto necessario al consolidamento della democrazia”.